giovedì 29 aprile 2010

O Santa Barbara, amica del Minatore

Quando mi lascio alle spalle

Il sole che illumina e mi incammino nel buio ventre della terra:

Tu sei con me!

Quando il sudore della fronte s’impasta con la polvere a formare un monumento di fatica:

Tu mi aiuti!

Quando il ricordo dei cari

mi stringe la gola riarsa

ed aiuta la lacrima a rigare il mio volto:

Tu mi ascolti!

Quando là nel profondo, trepido accendo la miccia

e la mina sta per brillare:

Tu mi proteggi!

Perciò io T’invoco e a Te mi affido!

Santa Barbara, prega per noi.

(Sac. Ignazio Cocco)

L’Associazione Italiana Ex Minatori nasce a Fratta di Caneva nel 1961, per volontà di Arduino Martinuzzo, appena rientrato in Italia dopo sedici anni di miniera in Belgio.
Come lui, tanti altri ex minatori avevano dovuto abbandonare la galleria perchè la silicosi aveva devastato i loro polmoni.
Erano partiti in tantissimi, circa ottantamila giovani, in cerca di fortuna.
Il Governo d’Unità Nazionale aveva stipulato con il Belgio l’accordo “uomo-carbone”, in virtù del quale per ogni minatore che stipulava il contratto di lavoro in miniera, all’Italia venivano riconosciuti cinque quintali di carbone.
Per il nostro paese, in preda alla gravissima crisi economica del dopoguerra, fu la salvezza: le attività produttive poterono ripartire e fu l’inizio del boom economico.
Il Belgio, invece, sopperiva in questo modo alla mancanza di manodopeera locale: i belgi sapevano bene quanto pericoloso fosse il lavoro in galleria, tanto che oramai nessuno voleva più fare il minatore.
Il Belgio aveva proposto l’accordo anche ad altri paesi, come la Spagna e la Polonia, ma solamente l’Italia aveva accettato.
I nostri minatori trovarono una situazione inumana: furono alloggiati nei campi in cui erano detenuti i criminali di guerra nazisti, dormivano sugli stessi pagliericci pieni di pidocchi, lavoravano con turni mssacranti in quello che è stato definito “il posto più vicino all’inferno in cui si possa andare da vivi”.
Erano i nostri giovani più vigorosi e dotati: prima dell’ingaggio venivano sottoposti a visite mediche rigorose, per accertare che fossero non solo forti, ma anche capaci e determinati, che fossero in grado di lavorare tanto e bene.
E quando la malattia e gli incidenti minavano le loro forze, l’unica strada era il ritorno in patria, che purtroppo riservava un’amarissima sorpresa: il nostro paese, che grazie al carbone ricevuto ed alle rimesse in valuta estera degli stipendi dei minatori godeva d’un nuovo benessere, non era in grado di reinserire nel mercato del lavoro gli ex minatori.
Il loro fisico, segnato irreparabilmente dalla silicosi, non consentiva lavori pesanti. Di converso la silicosi non era riconosciuta malattia professionale, per cui non potevano godere d’alcun beneficio pensionistico.
L’estrema ingiustizia della situazione mosse Arduino Martinuzzo ed un gruppo di altri ex minatori.
Fondarono l’AIEM, che si propose di avviare tutte le iniziative del caso per tutelare gli ex minatori e le loro famiglie, di mantenere quel fortissimo senso di fratellanza che li aveva uniti nei momenti più duri, di favorire il culto della loro patrona Santa Barbara.
L’AIEM crebbe rapidamente, furono costituiti gruppi in tutto il territorio nazionale ed anche i connazionali rimasti in Belgio aderirono all’associazione.
Attorno al 1970 i soci erano oltre 3000.
La tenacia del presidente Martinuzzo venne premiata: nel 1975 l’on. Tina Anselmi, allora Ministro del Lavoro, si fece portavoce degli ex minatori e presentò un disegno di legge, che venne approvato, con il quale finalmente silicosi ed asbestosi erano dichiarate malattie professionali.
Altro obiettivo dell’AIEM era la costituzione di centri specializzati nei quali la silicosi fosse curata in modo adeguato: i gravissimi deficit respiratori degli ex minatori venivano trattati nei normali reparti di pneumologia o nei sanatori, nei quali non esisteva la competenza specifica per la cura della “pussiera”.
Venne costruita, allora, con sacrifici enormi, la Casa del Minatore, che a Fratta di Caneva avrebbe dovuto veder nascere il primo centro specializzato per la cura dei silicotici: era tutto pronto, quando la riforma sanitaria bloccò definitivamente il progetto.
La Casa del Minatore non restava però la classica cattedrale nel deserto: cominciò una laboriosa raccolta di oggetti, foto, documenti e nacque il “Museo del Minatore”, che ora porta il nome del compianto Arduino Martinuzzo, fondatore dell’AIEM e presidente fino al 21 febbraio 2007.
Il Museo è divenuto testimonianza tangibile della vita del minatore e riceve continui apprezzamenti per l’importante funzione culturale che svolge, in particolare nei confronti delle giovani generazioni.
Da venticinque anni, inoltre, l’AIEM pubblica un suo foglio, “Il Minatore”, che continua a dare voce a quegli ottantamila giovani che, per dare un futuro all’Italia, hanno sacrificato eroicamente la loro giovinezza e la loro salute.
Oggi la maggior parte di loro non c’è più: la silicosi non perdona.
Resta però il nostro dovere di onorarne la memoria, di mantenere vivo il ricordo del loro sacrificio e di far conoscere ai ragazzi quanto sia stato alto il prezzo del nostro benessere.